IL DECALOGO DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE | #1 SE NON PARLI TI CANCELLO

 

Stiamo assistendo a una vera e propria esplosione di interesse sui temi ambientali. La curva dell’attenzione ha iniziato a crescere nel periodo pre-pandemico, trascinata dall’effetto-Greta e oggi è trainata dalle sfide (e dalle risorse) della transizione ecologica. Quindi il primo monito è: non si può non comunicare su questi temi. Da una parte perché se non si
comunica non si esiste. D’altro canto, come ci dice bene anche il primo degli assiomi della comunicazione di Watzlawick, è impossibile non comunicare.

 

Tacere è comunicare.

 

Guardare altrove è comunicare. Quando parliamo di comunicazione, il silenzio ha lo stesso valore di messaggio che hanno le parole. Anzi, farei un passo in più e mi spingerei oltre. Quando in ballo ci sono le tematiche ambientali, il silenzio è ben più rumoroso delle parole. Se si pensa di poter mantenere un profilo basso e non esporsi semplicemente non comunicando le tematiche ambientali, si rischia di commettere un grave errore. Perché, quando si parla di ambiente, non si può non prendere una posizione: non schierarsi significa disinteressarsi a questa battaglia, finendo automaticamente nel fronte dei “cattivi”, di chi non ha a cuore l’ambiente e non è sostenibile. Anche comunicare un primo impegno embrionale – imperfetto e parziale – è meglio che sorvolare del tutto sulla propria politica ambientale. Perché il mutismo su questi temi desta sospetti, alimenta dubbi, mette la pulce nell’orecchio.

 

Certo, non si può nemmeno comunicare quello che non si fa e quello che non si è, perché si finirebbe dritti nel calderone di chi fa greenwashing.

 

In ogni caso, non comunicare sui temi ambientali è addirittura peggio che comunicare in modo ingannevole: la mancanza
di comunicazione ambientale è oggi associata a un valore di mercato inferiore[1]. Questo assioma, non è possibile non comunicare, vero per tutta la comunicazione e soprattutto per quella ambientale, rivela tutta la sua potenza
soprattutto nelle situazioni di crisi: quando si è coinvolti in un incidente ambientale, annunciato o meno, e si tace o si preferisce glissare, si peggiora senza alcun dubbio l’impatto sull’opinione pubblica. Soprattutto, si abdica a qualsiasi possibilità di governare la narrazione che di quel disastro si farà. Noi potremo anche stare in silenzio, ma intorno a noi le persone parleranno, cogiteranno, ipotizzeranno. Di fronte a un’opinione pubblica che è sempre più concitata, rumorosa e incontrollabile, non governare la propria comunicazione equivale a un suicidio simbolico.

 

Quindi comunicate, comunicate bene, comunicate sempre, anche solo per motivare una scelta o una difficoltà.

 

[1] Come rilevato dalla ricerca Does it pay to be a greenwasher or a brownwasher (Testa, F, Miroshnychenko, I, Barontini, R, Frey, M. Does it pay to be a greenwasher or a brownwasher? Bus Strat Env. 2018; 27: 1104– 1116. https://doi.org/10.1002/bse.2058)

A cura di Sergio Vazzoler con la collaborazione di Micol Burighel 

GLI ALTRI CAPITOLI DEL DECALOGO DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE

 #1 Se non parli ti cancello

#2 Le tre C sul comò: complessità, contraddizioni, conflitto

#3 A buon comunicatore molte domande

#4 Trasparenza is the new black

#5 Il difficile è farla semplice

#6 Lavami ma senza bagnarmi

#7 Ricordati che NON devi morire

#8 Insieme a te non ci sto più

#9 Un hashtag non fa primavera

#10 Oltre alla testa c’è di più

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