IL DECALOGO DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE | #6 LAVAMI MA SENZA BAGNARMI

 

Dialogare, confrontarsi, ascoltare è imprescindibile per capire, soddisfare e coinvolgere i nostri interlocutori. Responsabilizzarli e chiedere il loro aiuto è essenziale perché gli obiettivi sono così sfidanti che solo insieme si può pensare di raggiungerli. Insomma, dovremmo sentirci un po’ come membri di un team di canottaggio oppure come  giocatori di una squadra di tiro alla fune, indirizzati verso una meta comune. Per questo è necessario stringere un patto e rinnovarlo costantemente.

La comunicazione ambientale non può esaurirsi nel veicolare messaggi e contenuti: impone, al contrario, di richiedere ai nostri interlocutori azioni e comportamenti faticosi, destabilizzanti, che spesso comportano un significativo costo economico e sociale. Finché si rimane nella sfera dei valori e degli idealismi, è semplice sposare una causa. Nessuno – o quasi – oserebbe mai dirsi a favore dello  sfruttamento delle persone, della distruzione degli ecosistemi e dell’impoverimento sistematico delle risorse della Terra: sarebbe come dire che non si amano i cuccioli, un tabù che nemmeno i più coraggiosi infrangono.

 

Ma cosa succede quando alle parole devono fare seguito le azioni?

 

In buona percentuale nulla, perché spesso c’è una crepa profonda tra ciò che è socialmente auspicabile (un mondo e uno stile di vita più giusto, pulito, sano) e ciò che è personalmente accettabile (non dover rinunciare alle proprie comodità). Se ci mettiamo a spulciare un po’ di ricerche[1], ci rendiamo conto che l’adesione ai principi della sostenibilità, sempre più esponenziale ed esplosiva sulla carta, nella realtà rimane superficiale ed epidermica. Le persone si dicono sì favorevoli al cambiamento, ma il loro impegno spesso si esaurisce in dichiarazioni senza nulla di concreto oppure mettono in campo azioni poco incisive, comode, fiacche, che non comportano un particolare sforzo.

 

Questo atteggiamento può essere sintetizzato in un detto tedesco: lavami ma senza bagnarmi.

 

Se vogliamo davvero comunicare la portata della sfida ambientale e climatica, dovremo convincere i nostri interlocutori a adottare comportamenti ben più faticosi dell’ormai consolidata raccolta differenziata. E una comunicazione ambientale efficace può e deve dare un importante contributo nel determinare i cambiamenti auspicati in termine di mobilità intelligente, riduzione degli sprechi e scelte di consumo consapevoli. Cosa significa questo dal punto di vista pratico?

 

A) Spocchia e stizza sono le tue nemiche.

Alcuni professionisti e specialisti inciampano a volte nella sindrome dell’esperto, che si manifesta nella forma di risposte secche e infastidite, mortificazioni gratuite e sarcasmo corrosivo di fronte alle (legittime) domande (vedi punto 3 del decalogo della comunicazione ambientale) di persone inesperte, poco virtuose o semplicemente contradditorie. Questo naturalmente non fa che allontanarle ulteriormente.

 

B) I processi di facilitazione e ingaggio non sono sacrificabili.

Solo a persone coinvolte attivamente e prese sul serio puoi chiedere un cambiamento di comportamento, abitudini, prospettive. Andare al di fuori della propria comfort zone è difficile. Si è disposti ad accettare una richiesta di cambiamento solo se coincide con i nostri valori e proviene da qualcuno che conosciamo, di cui ci fidiamo, con cui abbiamo una relazione o che consideriamo “vicino”. E un percorso di comunicazione fondato sull’ascolto, la facilitazione e l’ingaggio fa proprio questo, pone le basi di una relazione dialogica, aperta e trasparente.

[1] Oltre al già citato Future Consumer Index, un recente Eurobarometro sul cambiamento climatico rivela una tendenza di comportamento simile: https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/2273

A cura di Sergio Vazzoler con la collaborazione di Micol Burighel 

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