IL DECALOGO DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE | #4 TRASPARENZA IS THE NEW BLACK

 

La trasparenza paga sempre, è un imperativo. Le scorciatoie su questi temi possono portare benefici nel breve termine, ma risulteranno inefficaci e controproducenti sul medio-lungo termine. Per questo è fondamentale trasmettere messaggi brevi, comprensibili ed esaustivi per raggiungere gli obiettivi. Quando si parla di tematiche complesse e articolate come quelle ambientali, spesso condite ai contorni da nozioni scientifiche, la sindrome del docente universitario e dell’ingegnere (con tutto l’affetto per queste categorie) è sempre dietro l’angolo, ed è pericolosissima. Al contrario, una buona pratica è comunicare in modo semplice e accessibile, usando un linguaggio divulgativo e inclusivo, che non tagli fuori nessuno e che soprattutto non ometta nulla.

 

E qui torniamo sulla sacrosanta trasparenza.

 

Le persone, i cittadini, i consumatori ormai sono in buona parte cintura nera in riconoscimento del greenwashing. Che si tratti di un tentativo di insabbiamento bello e buono, che sia una manovra per sviare l’attenzione da temi caldi e poco sostenibili, che riguardi l’esagerazione di pratiche green che in realtà impattano ben poco, il greenwashing è sempre meno un’astuzia e sempre più un boomerang che colpisce chi lo pratica. Con un distinguo importante che i comunicatori ambientali devono tenere ben presente: in molti casi chi cade in questa pratica lo fa non tanto per una cosciente volontà di ingannare, quanto per la mancanza di consapevolezza e strumenti culturali nel campo della sostenibilità.

 

Consapevolezza e strumenti che, però, sono sempre più diffusi nel grande pubblico.

 

Lo dimostrano le ricerche: secondo il Future Consumer Index di EY[1], la sostenibilità è sempre più una priorità per italiani e italiane. L’elemento più interessante e parlante che emerge da questo studio, però, riguarda i fattori che disincentivano i consumatori ad acquistare beni sostenibili. Ben prima del prezzo più alto, compaiono il marketing ingannevole e le informazioni fuorvianti. Cosa significa questo? Che le persone cercano e vogliono più informazioni e chiedono a gran voce che siano chiare, dettagliate e oneste. Queste istanze non vanno prese sottogamba: gli utenti, il pubblico, i consumatori, i cittadini oggi hanno molti più strumenti per fare sentire la loro voce (e qui ritorniamo al punto 3). Quello che una volta si teneva per sé oggi si twitta, diventa una story sui social oppure un nuovo hashtag. Le persone sono sempre più sensibili e connesse, si sentono anche più in diritto (e dovere) di dire la loro su operazioni “finto-verdi”.

 

Insomma, si può anche provare a fare greenwashing ma presto o tardi la prova del nove arriva: il confronto con i cittadini/consumatori.

 

Allora, prima di andare incontro a quello che sui social si chiamerebbe epic fail, con tutte le conseguenze a livello di immagine, reputazione e competitività, forse è meglio fare i conti fin da subito con i propri limiti e i propri punti deboli, decidere di non nasconderli e scegliere la strada – coraggiosa senza dubbio – della trasparenza. È faticoso? Sì, parecchio. Ma le alternative non esistono.

[1] https://www.ey.com/it_it/news/2021-press-releases/08/ey-future-consumer-index

A cura di Sergio Vazzoler con la collaborazione di Micol Burighel 

GLI ALTRI CAPITOLI DEL DECALOGO DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALE

 #1 Se non parli ti cancello

#2 Le tre C sul comò: complessità, contraddizioni, conflitto

#3 A buon comunicatore molte domande

#4 Trasparenza is the new black

#5 Il difficile è farla semplice

#6 Lavami ma senza bagnarmi

#7 Ricordati che NON devi morire

#8 Insieme a te non ci sto più

#9 Un hashtag non fa primavera

#10 Oltre alla testa c’è di più

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